Bentornati su SportivaMente la rubrica di psicologia dello sport di Teste di Serie. Nel nostro primo incontro vi ho fatto delle promesse e cercherò un poco alla volta di mantenerle. Quindi prendete tranquillamente appunti e se ce ne sarà bisogno non fatevi scrupoli nel richiamarmi all’ordine o a scrivere (nel box commenti [n.d.r.]) qualora doveste desiderare approfondire qualche tema in particolare.
Nel precedente articolo si è parlato di come la psicologia dello sport sia stata tradizionalmente associata alla prestazione degli sportivi e di come negli ultimi anni si stia sempre più acquisendo consapevolezza dell’importanza della salute mentale nella pratica sportiva. Ma cosa significa lavorare sulla salute mentale nell’ambito della competizione sportiva?
Proverò a sintetizzare questo concetto evidenziando due aspetti che ritengo essere centrali: da un lato si tratta di aiutare gli atleti a sviluppare una mente resiliente, contribuendo a migliorare le performance e a prevenire possibili stati di burnout; dall’altro invece si vuole aiutare le persone a focalizzarsi su quegli aspetti di malessere psicologico che riguardano la vita di tutti i giorni, permettendo alla resilienza sviluppata sul campo da gioco di fornire valore aggiunto alla vita della persona nella sua interezza.
Il campo da gioco come osservatorio privilegiato.
Nella psicologia del senso comune la performance sportiva è sempre stata espressione di forza, velocità e abilità tecnica. Con la nascita della psicologia dello sport si pone l’attenzione ad un nuovo fondamentale aspetto: la mente. Questa manifestazione di quel potente muscolo che è il cervello, al pari della preparazione dell’atleta, è in grado di fare la differenza fra una performance d’eccellenza e la “banalità” della prestazione media (anche se a onor del vero questo è solo un errore percettivo! Un bias, concetto che approfondiremo più avanti).
Se il ruolo della mente è così fondamentale, ne consegue che tutto ciò che influenza il suo benessere non possa che modificare inevitabilmente l’esito della prestazione sportiva. Ma questa naturalmente è storia vecchia e alcuni potrebbero pensare che non sia di così grande interesse per la salute mentale o peggio: che vada proprio nella direzione dalla quale ci vogliamo discostare quella della psicologia della prestazione. Tuttavia la cosa veramente interessante è che questo legame, oltre a funzionare in una direzione risulta perfettamente funzionante anche nella direzione contraria con la logica conseguenza di poter utilizzare la performance come una sorta di termometro del benessere psicologico dello sportivo.
Lo sport come strumento di analisi del benessere.
A questo punto credo sia facilmente intuibile dove sto andando a parare: attraverso un’osservazione attenta e preparata dell’atleta, nel mezzo della sua performance è possibile ottenere informazioni sul suo stato di benessere psicologico al pari dell’utilizzo di tecniche e strategie più tradizionali ed invasive.
Certo è che la sola prestazione in gara non costituisce un dato sufficientemente esaustivo. Potremmo però paragonare quest’ultima alla spia luminosa che si accende sul cruscotto della macchina quando la benzina sta per terminare. Un segnale in grado di focalizzare l’attenzione dell’osservatore su quanto di più importante l’atleta sta portando in campo: il suo stato di benessere.
Questa analisi sommaria del fenomeno non può certò limitarsi alla misurazione della performance che di fatto è solo la punta di un gigantesco iceberg. Come tutti i processi diagnostici, per valutare correttamente i dati, abbiamo bisogno di un’osservazione attenta e discreta e chi meglio dell’allenatore potrebbe farlo!?
L’allenatore: non un semplice trainer…
Da ragazzo quando sentivo in TV che una squadra di calcio stava per cambiare allenatore a causa dei pessimi risultati ottenuti, devo confessare di aver spesso pensato che non potendo cambiare i diversi elementi della squadra fosse necessario un capo espiatorio e che tale ingrato ruolo finisse inevitabilmente sull’allenatore. Solo molto tempo dopo, comprendendo la grande importanza di un buon allenatore ho finito col comprendere il ruolo chiave di quest’ultimo.
A prescindere da come lo si chiami (spesso dipende dalla disciplina sportiva): l’allenatore, il coach, il trainer, costituiscono molto più spesso di quanto si crede, la chiave di volta del successo sportivo di un atleta. Ci sono persone che hanno il potenziale ma non la disciplina, altri invece hanno la volontà ma mancano di quella naturale predisposizione necessaria ad emergere. Cosa permette a questi atleti di “farcela”? Beh ormai credo sia chiaro… l’allenatore!
Vien da sé che anche per il nostro obiettivo, quello della salute mentale, il ruolo dell’allenatore finisce con l’essere fondamentale. Vi state chiedendo perché? niente di più semplice: quest’ultimo è un osservatore privilegiato, spesso l’unico (insieme ai suoi collaboratori) a poter guardare da vicino il comportamento dell’atleta senza destare sospetti o preoccupazioni (e da molteplici angolazioni differenti). Il coach è presente quando l’atleta entra nello spogliatoio, quando rimugina/esulta dei suoi insuccessi/successi, di fronte una birra dopo l’allenamento. L’allenatore è colui che più di chiunque altro ha la possibilità di mettere insieme tutti i pezzi di quel puzzle che è l’atleta.
Non un centro psicodiagnostico ma un luogo di libera espressione
Comprendo che molti di voi potrebbero cominciare a pensare che il mio suggerimento sia quello, impugnando lo stendardo della salute mentale, di trasformare il campo da gioco in un centro psicodiagnostico a cielo aperto. Non preoccupatevi, lungi da me fare una cosa del genere. Lo sport, quello sano, deve prima di tutto, divertire, entusiasmare e solo successivamente formare.
Del resto, quanto fin qui sottolineato può funzionare solo le figure professionali attorno all’atleta saranno in grado di osservare con quanta più delicatezza possibile la persona, attraverso l’uso della discrezione e senza mai dimenticare che i ragazzi si trovano li per divertirsi. Certo è che l’allenatore non può occuparsi di tutto e di certo non può (e non deve!) improvvisarsi psicologo. Tuttavia, affiancato dal giusto professionista un allenatore poi divenire il più preciso degli strumenti diagnostici.
E quindi? Come si lavora sulla salute mentale nello sport?
Lavorare sulla saluta mentale nella pratica sportiva non vuol dire lasciare che psicologi e psicoterapeuti trasportino il loro studio sul campo, pronti a mettere sotto analisi tutti gli sportivi che anche solo lontanamente mostrano segnali di malessere psicologico.
Vuol dire piuttosto formare i professionisti dello sport affinché possano cogliere questi segnali di disagio. Segnali che spesso rimangono inascoltati e che, proprio grazie al contesto ludico (più che in altre situazioni) si rendono visibili all’occhio dell’osservatore preparato.
Non dimentichiamo che anche Achille, per diventare un eroe è dovuto ricorrere ad un grande maestro del suo tempo, un maestro che noi oggi chiameremmo coach: Chirone, simbolo, per eccellenza del ruolo dell’allenatore.
Metà uomo e metà equino Chirone è la perfetta combinazione di mente e corpo. Vi è una parte razionale, legata alla disciplina ed una irrazionale legato all’aspetto ludico. La sua doppia natura rappresenta la doppia natura dell’allenatore, un po' amico e un po' maestro. Ed è proprio grazie a questa doppia natura che spesso i ragazzi riescono ad avere con lui un atteggiamento molto più naturale di quanto non avvenga in altri contesti, lasciando emergere sogni, speranze e desideri ma anche timori e fatiche. Ed è così che gli allenatori finiscono col diventare una delle migliori risorse della salute mentale nello sport.
Quindi mentre aspettate di leggere il prossimo articolo, cercate di non bistrattare gli allenatori dei vostri figli e provate a dargli fiducia. Credetemi, saranno i vostri migliori alleati…
Al prossimo appuntamento ragazzi con SportivaMente!