Il coraggio di chiedere aiuto. - Sportivamente #8

Il coraggio di chiedere aiuto. - Sportivamente #8

Buongiorno a tutti e bentornati su Sportivamente, la rubrica di psicologia dello Sport di Teste di Serie.  Negli articoli precedenti abbiamo spesso parlato del ruolo dellallenatore e di quanto possa essere importante imparare a cogliere i segnali di cui spesso i ragazzi si fanno portatori. Segnali di malessere, richieste silenziose di aiuto, che non possono non richiedere una capacità di ascolto che più che una predisposizione personale deve diventare unindispensabile competenza nelle mani dellallenatore. Questoggi pertanto, parleremo di richieste di aiuto. Alcune chiare e manifeste altre invece silenziose e sottili 

Il coraggio invisibile

Credo sia ormai evidente quanto il tema nella salute mentale nella pratica sportiva sia tuttaltro che sdoganato. Tuttavia, la pratica sportiva non è solo allenare il corpo anzi, durante lallenamento (e non solo) anche la mente si allena. E come per tutti gli allenamenti è inevitabile che questultima possa affaticarsi o addirittura ferirsi cosicché latleta, fisicamente a posto, pensa di affrontare lallenamento al meglio, del tutto inconsapevole dello stato di benessere della sua psiche.

La pratica sportiva, del resto, sottopone latleta a pressioni non da poco, costringendolo a confrontarsi sia con gli altri che con se stesso. I più giovani fra laltro, non solo vivono il confronto con gli avversari, ma spesso anche con i propri compagni di squadra. In un panorama come questo credo fisiologico che sia il professionista sia il neofita si trovi a dover combattere contro momenti di dubbio o insicurezza, che possono tranquillamente generare stati di ansia ed influire sulla motivazione.  

In questi casi la cosa più semplice sarebbe certamente quella di chiedere aiuto, ma semplice non vuol dire facile ed è per questo che è importante che lallenatore impari a riconoscere quei gridi silenziosi attraverso i quali latleta sta chiedendo di essere aiutarlo o anche semplicemente visto 

Ma cosa impedisce ai ragazzi (e spesso anche agli adulti) di avanzare tale richiesta!? I motivi possono essere molto diversi, fra i tanti però, la paura del giudizio occupa un posto privilegiato.  

Non è infrequente che molte persone finiscano con lassociare la richiesta di aiuto allidea di  essere deboli. Spesso a causa di una cultura che ci vuole indipendenti, sempre in grado di far fronte alle difficoltà e confonde la gentilezza con la mancanza di forza.  

Questa paura di essere giudicati (penseranno che sono debole), la cultura del devo farcela da solo o lidea che la vulnerabilità non sia compatibile con la performance finiscono col creare dei veri e propri muri invisibili. Roccaforti allinterno delle quali le persone credono di non dover crescere da soli, in autonomia. Ma c’è un fatto: nessuno cresce da solo!

Dietro ogni persona di successo c’è il suo più grande sostenitore. Che si tratti di un leader politico, di un antico guerriero o del migliore degli atleti. Ne sono un esempio la storia del campione Dustin Poirier, Lionel Messi o ancora LeBron James e questi sono solo alcuni degli esempi ai quali potremmo fare riferimento.
Detta in 
soldoni, nessuno, ripeto nessuno, c’è la fa da solo!!!
 

Cosa serve davvero quando un atleta chiede aiuto

Ma allora come facciamo ad aiutare gli atleti a chiedere aiuto!? A permettergli di comprendergli che il vero gesto di coraggio e forza non è appunto farcela da solo ma riuscire a chiudere aiuto!? Chiedere aiuto è un gesto di consapevolezza e fiducia che non può concretizzarsi senza un contesto che lo renda possibile. Latleta deve sentirsi libero di esprimersi, senza paura di essere giudicato e tale espressione non deve limitarsi al commento sulla partita appena giocata ma anche rispetto ai sui vissuti, alle sue sensazioni perché spesso la vittoria (o la sconfitta) non è lunica cosa che latleta si porta a casa da una partita.  

Dietro un qualsiasi va tutto bene spesso si nasconde un importante non detto che deve essere indagato. Ascoltare non vuol dire riempire il silenzio con dei consigli ma fornire il proprio supporto. Una ascolto per essere produttivo deve essere autentico, non giudicante ma accogliente.  

Spesso gli atleti associano il proprio valore al risultato, alla performance. Se ve vogliamo che il nostro ragazzo/atleta si approcci in modo sano allo sport, dobbiamo aiutarlo a sciogliere il binomio valore/performance. Essere una persona di successo ed essere una persona di valore non sono sempre la stessa cosa. Bisogna lavorare sul concetto di fallimento (che non esiste!) E spingere latleta a credere nelle sue capacità 

Non bisogna avere paura di mostrare la propria fragilità. Spesso i ragazzi hanno unimmagine del genitore e/o dellallenatore che non è del tutto reale. Mostrare le proprie fragilità ai nostri ragazzi, li aiuta a fare altrettanto. Gli aiuta a capire che si può essere forti anche attraverso le proprie fragilità. Ma soprattutto insegna che mostrare le proprie fragilità non è qualcosa di cui vergognarsi. Quando genitori, allenatori e compagni riescono a trasmettere questi messaggi, la richiesta di aiuto smette di essere un tabù e può diventare parte naturale del percorso sportivo. 

Come gli atleti vivono (davvero) la richiesta di aiuto

Inutile dire che ognuno di noi giovane o adulto, vive la richiesta di aiuto in modo diverso tuttavia dietro le differenze ci sono spesso paure comuni: il giudizio, la delusione, oppure il non essere abbastanza. In genere nei più giovani la difficoltà è ammettere che qualcosa non va. Ladolescenza è un momento di confronto e la voglia di mostrarsi forti è enorme.  In questi casi, il ruolo dei genitori è fondamentale. Non si deve spingere al dialogo quanto piuttosto restare presenti: Quando vuoi parlarne, io ci sono.  

Per quanto riguarda gli adulti invece è spesso utile uno spazio di ascolto psicologico. La prestazione migliora quando la mante sta bene e la differenza non è tra chi ha o non ha difficoltà, ma fra chi le affronta e chi le nasconde.

Eh quindi!? Dobbiamo ricordare che dietro una medaglia, un punto segnato o un traguardo raggiunto, c’è prima di tutto una persona. E le persone hanno dubbi, paure, sogni e limiti.
Riconoscere questi vissuti emotivi non toglie nulla allo sport, anzi: lo rende pi
ù vero!!

Perché nello sport, come nella vita, la forza più grande non è non cadere mai riuscire a rialzarsi insieme. 

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Dr. Alessandro Acampora

Il dott. Alessandro Acampora, Dottore in Psicologia Clinica e di Comunità, ha conseguito la laurea magistrale presso l’Università Bicocca di Milano ed è iscritto all’albo degli psicologi con numero 03/12907.

Ha poi continuato il suo percorso formativo presso la S.E.P.I., Scuola Europea di Psicoterapia Ipnotica di Milano, conseguendo il titolo di Psicoterapeuta ed apprendendo, oltre alla pratica della Psicoterapia anche diverse tecniche: fra cui l’Ipnosi Neo- Ericksoniana ed il Training Autogeno.

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