Buongiorno a tutti e bentornati su Sportivamente, la rubrica di psicologia dello Sport di Teste di Serie. Negli articoli precedenti abbiamo spesso parlato del ruolo dell’allenatore e di quanto possa essere importante imparare a cogliere i segnali di cui spesso i ragazzi si fanno portatori. Segnali di malessere, richieste silenziose di aiuto, che non possono non richiedere una capacità di “ascolto” che più che una predisposizione personale deve diventare un’indispensabile competenza nelle mani dell’allenatore. Quest’oggi pertanto, parleremo di “richieste di aiuto”. Alcune chiare e manifeste altre invece silenziose e sottili…
Il coraggio invisibile
Credo sia ormai evidente quanto il tema nella salute mentale nella pratica sportiva sia tutt’altro che sdoganato. Tuttavia, la pratica sportiva non è solo allenare il corpo anzi, durante l’allenamento (e non solo) anche la mente si allena. E come per tutti gli allenamenti è inevitabile che quest’ultima possa affaticarsi o addirittura ferirsi cosicché l’atleta, fisicamente a posto, pensa di affrontare l’allenamento al meglio, del tutto inconsapevole dello stato di benessere della sua psiche.
La pratica sportiva, del resto, sottopone l’atleta a pressioni non da poco, costringendolo a confrontarsi sia con gli altri che con se stesso. I più giovani fra l’altro, non solo vivono il confronto con gli avversari, ma spesso anche con i propri compagni di squadra. In un panorama come questo credo fisiologico che sia il professionista sia il neofita si trovi a dover combattere contro momenti di dubbio o insicurezza, che possono tranquillamente generare stati di ansia ed influire sulla motivazione.
In questi casi la cosa più semplice sarebbe certamente quella di chiedere aiuto, ma semplice non vuol dire facile ed è per questo che è importante che l’allenatore impari a riconoscere quei “gridi silenziosi” attraverso i quali l’atleta sta chiedendo di essere aiutarlo o anche semplicemente “visto”.
Ma cosa impedisce ai ragazzi (e spesso anche agli adulti) di avanzare tale richiesta!? I motivi possono essere molto diversi, fra i tanti però, la paura del giudizio occupa un posto privilegiato.
Non è infrequente che molte persone finiscano con l’associare la richiesta di aiuto all’idea di “essere deboli”. Spesso a causa di una cultura che ci vuole indipendenti, sempre in grado di far fronte alle difficoltà e confonde la gentilezza con la mancanza di forza.
Questa paura di essere giudicati (“penseranno che sono debole”), la cultura del “devo farcela da solo” o l’idea che la vulnerabilità non sia compatibile con la performance finiscono col creare dei veri e propri muri invisibili. Roccaforti all’interno delle quali le persone credono di non dover crescere da soli, in autonomia. Ma c’è un fatto: nessuno cresce da solo!
Dietro ogni persona di successo c’è il suo più grande sostenitore. Che si tratti di un leader politico, di un antico guerriero o del migliore degli atleti. Ne sono un esempio la storia del campione Dustin Poirier, Lionel Messi o ancora LeBron James e questi sono solo alcuni degli esempi ai quali potremmo fare riferimento.
Detta in “soldoni”, nessuno, ripeto nessuno, c’è la fa da solo!!!
Cosa serve davvero quando un atleta chiede aiuto
Ma allora come facciamo ad aiutare gli atleti a chiedere aiuto!? A permettergli di comprendergli che il vero gesto di coraggio e forza non è appunto farcela da solo ma riuscire a chiudere aiuto!? Chiedere aiuto è un gesto di consapevolezza e fiducia che non può concretizzarsi senza un contesto che lo renda possibile. L’atleta deve sentirsi libero di esprimersi, senza paura di essere giudicato e tale espressione non deve limitarsi al commento sulla partita appena giocata ma anche rispetto ai sui vissuti, alle sue sensazioni perché spesso la vittoria (o la sconfitta) non è l’unica cosa che l’atleta si porta a casa da una partita.
Dietro un qualsiasi “va tutto bene” spesso si nasconde un importante “non detto” che deve essere indagato. Ascoltare non vuol dire riempire il silenzio con dei consigli ma fornire il proprio supporto. Una ascolto per essere produttivo deve essere “autentico”, non giudicante ma accogliente.
Spesso gli atleti associano il proprio valore al risultato, alla performance. Se ve vogliamo che il nostro ragazzo/atleta si approcci in modo sano allo sport, dobbiamo aiutarlo a sciogliere il binomio valore/performance. Essere una persona di successo ed essere una persona di valore non sono sempre la stessa cosa. Bisogna “lavorare” sul concetto di fallimento (che non esiste!) E spingere l’atleta a credere nelle sue capacità.
Non bisogna avere paura di mostrare la propria fragilità. Spesso i ragazzi hanno un’immagine del genitore e/o dell’allenatore che non è del tutto reale. Mostrare le proprie fragilità ai nostri ragazzi, li aiuta a fare altrettanto. Gli aiuta a capire che si può essere forti anche attraverso le proprie fragilità. Ma soprattutto insegna che mostrare le proprie fragilità non è qualcosa di cui vergognarsi. Quando genitori, allenatori e compagni riescono a trasmettere questi messaggi, la richiesta di aiuto smette di essere un tabù e può diventare parte naturale del percorso sportivo.
Come gli atleti vivono (davvero) la richiesta di aiuto
Inutile dire che ognuno di noi giovane o adulto, vive la richiesta di aiuto in modo diverso tuttavia dietro le differenze ci sono spesso paure comuni: il giudizio, la delusione, oppure il non essere “abbastanza”. In genere nei più giovani la difficoltà è ammettere che qualcosa non va. L’adolescenza è un momento di confronto e la voglia di mostrarsi forti è enorme. In questi casi, il ruolo dei genitori è fondamentale. Non si deve spingere al dialogo quanto piuttosto restare presenti: “Quando vuoi parlarne, io ci sono.”
Per quanto riguarda gli adulti invece è spesso utile uno spazio di ascolto psicologico. La prestazione migliora quando la mante sta bene e la differenza non è tra chi ha o non ha difficoltà, ma fra chi le affronta e chi le nasconde.
Eh quindi!? Dobbiamo ricordare che dietro una medaglia, un punto segnato o un traguardo raggiunto, c’è prima di tutto una persona. E le persone hanno dubbi, paure, sogni e limiti.
Riconoscere questi vissuti emotivi non toglie nulla allo sport, anzi: lo rende più vero!!
Perché nello sport, come nella vita, la forza più grande non è non cadere mai riuscire a rialzarsi insieme.