PREMESSA
Bentornati su SportivaMente la rubrica di psicologia dello sport a cura di Teste di Serie. Di cosa parliamo oggi? Facile, oggi affrontiamo un argomento con il quale in un modo o nell’altro ci siamo confrontati tutti. Ed in genere il modo cui questa curiosità sopraggiunge è più o meno così:
“ma se fossi un campione di tennis e non l’avessi mai scoperto perché nonostante io abbia 50 anni suonati non ci ho mai giocato?!”
“Ahahahah ma vai va!”
Eh, sì ragazzi. In genere la reazione di chi ci circonda è proprio una “grassa“ risata. Però forse nel nostro chiederci quanto saremmo stati bravi a praticare uno sport si nasconde un tema che di fatto può fare la differenza fra un approccio amatoriale ed uno invece professionistico.
Scegliere lo sport “giusto” non è facile. Soprattutto se consideriamo che già la semplice declinazione della parola “giusto” può metterci in seria difficoltà. Visto però che noi di SportivaMente teniamo tantissimo al fatto che possiate praticare dello sport, ritengo doveroso aiutarvi a risolvere questo quesito. La questione è complessa, pertanto ho deciso di dividere l’articolo in due parti: una prima parte dove tratteremo bambini ed adolescenti ed una seconda invece dove cercheremo di guidare i nostri “Testoni” più adulti.
LA CHIAVE PER LA SCELTA "GIUSTA"
Come possiamo capire se stiamo effettivamente praticando lo sport “giusto”? Ma poi, lo sport giusto esiste davvero? I motivi per i quali le persone si dedicano alla pratica sportiva sono molteplici, tuttavia, il più delle volte, anche per ragioni logiche, ad indirizzarci verso un determinato sport sono proprio i nostri genitori.
Pertanto, se state facendo lo sport “sbagliato” date tranquillamente la colpa ai vostri genitori. Lo so, lo so, ora direte che sono il solito psicologo, ecc, ecc. Però se prendessimo per vero quanto sopra, se steste praticando lo sport giusto si potrebbe dire che è tutto merito loro! Suona già meglio no? Vorrei fosse così semplice, ma ahimè, non lo è affatto.
Cosa spinge infatti i nostri genitori a farci praticare uno sport piuttosto che un altro? Questa sì che è una domanda seria! Perché la risposta a questa domanda ci mette proprio nelle condizioni di avvicinarci ad un concetto di sport “giusto” poiché quest’ultimo verrà praticato in modo sano.
SLIDING DOOR
Il primo parametro per comprendere se stiamo praticando (o se stiamo indirizzando i nostri figli) lo sport corretto sono proprio le motivazioni per le quali ci troviamo a praticare lo sport che stiamo praticando. Ovvio è che la risposta a questa domanda può arricchirsi a seconda dell’età e degli anni di pratica nello sport in esame (la risposta di un sedicenne sarà infatti differente da quella di un trentacinquenne).
I nostri genitori, infatti, a seconda della modalità con la quale ci avvicinano al mondo dello sport, possono metterci nelle condizioni di ottenere risultati diversi. Avvicinare i figli allo sport che il genitore ha praticato (o ancora pratica) in gioventù non può certo dirsi sbagliato. È abbastanza normale/frequente che un figlio si interessi agli interessi dei propri genitori, cosa che avviene non solo per lo sport ma anche per la scelta dei valori. Tuttavia, vi è una grande differenza fra lo stimolare i propri figli attraverso la conoscenza e la pratica di qualcosa a noi noto (e che ci piace) e trasformare invece i nostri figli nell’oggetto delle nostre aspettative.
I genitori, e poi i figli, si trovano infatti spesso di fronte ad una “sliding door”: da una parte ciò che sarebbe “giusto” fare e dall’altra invece ciò che più appaga.
UN BIAS MOLTO DIFFUSO
Sapete cos’è un bias? Un bias è una sorta di meccanismo inconscio che altera la nostra deduzione/percezione in merito a idee e concetti. Ne esistono di diversi, fra i più diffusi vi è ad esempio il bias di conferma. Questo bias porta generalmente gli individui, quando si confrontano su idee diverse, a prestare maggiore attenzione a tutti quegli elementi che vanno a confermare la nostra idea, ignorando (senza che ce ne si renda conto) le prove che invece contrastano con la nostra opinione.
Qui, a scanso di equivoci, serve una premessa. È innegabile che vi siano persone che relativamente a ciò che fanno riescono ad essere ineguagliabili perché posseggono un talento. Tuttavia, questi presunti talenti (come avviene per tutti gli sportivi) se non vengono allenati con costanza rimangono inevitabilmente inespressi. Quando vediamo un professionista eseguire un’acrobazia in modo fluido e naturale, l’errore che la maggior parte di noi fa è di pensare che l’atleta in oggetto sia un “talento naturale”. Nessuno in realtà si sofferma a pensare alle ore e ore di allenamento che servono per raggiungere quel risultato (ed ecco qui il bias: quella persona è brava perché ha talento).
Ora, se gli atleti professionisti sono giovani (direi anche molto giovani in alcune circostanze) e hanno spesso cominciato ad allenarsi fin da bambini (più e più volte a settimana con orari spesso discutibili), ci porterebbe a pensare che, non ci si spiega bene come, un bambino invece di giocare, divertirsi e fare quello che fanno tutti i bambini... abbia voglia di andare a fare fatica in palestra. Credo che l’assurdità della cosa sia comprensibile a chiunque.
SIAMO VERAMENTE NOI A SCEGLIERE?
Ora, sulla scia del ragionamento fin qui fatto, potremmo dire che la maggior parte delle volte, se ci troviamo ad un livello molto alto, a scegliere forse non siamo stati noi, quanto piuttosto i nostri genitori. Quindi, visto che ci riesce così bene e siamo arrivati ad un livello così alto, stiamo facendo lo sport “giusto”? Forse sì, forse no. Però sulla base di quanto fin qui detto possiamo enunciare una prima regola per comprendere se siamo sulla strada giusta:
Il risultato di ciò che facciamo non è un parametro valido per determinare se ciò che stiamo facendo sia la cosa giusta per noi.
Il semplice fatto di essere portati per uno sport non significa che dobbiamo dedicare la nostra vita a quello sport. O ancora se il grado di sofferenza, ansia, stress da sopportare è così alto, questo potrebbe non giustificare ciò che stiamo ottenendo.
L'APPROCCIO "CORRETTO"
Ma se a scegliere il percorso sportivo di un ragazzo sono i genitori, come possono farlo nel modo “corretto”? Semplice ma non facile. Sicuramente facendo chiarezza in merito al loro coinvolgimento rispetto ai successi sportivi dei propri figli. I ragazzi dovrebbero innanzitutto divertirsi. Quando la pratica sportiva diventa agonismo (ahimè) entrano in gioco istanze psicologiche molto differenti e che di certo non hanno sempre a che fare con la salute mentale (il prezzo del successo...). Un approccio sano dovrebbe mettere il genitore nelle condizioni di non riversare le proprie ambizioni sui figli, né tantomeno i propri sentimenti di rivalsa personale. Come si fa? Diventando genitori “risolti” (ma questa è un’altra storia).
LE ALTRE VIE...
Non tutti approcciano lo sport spinti dai genitori. Non tutti i genitori finiscono per spingere più o meno consapevolmente i figli verso una qualche disciplina. Il secondo grande elemento decisionale riguarda infatti il gruppo dei pari.
Sovente, infatti, i genitori lasciano ampio spazio ai propri figli, permettendogli di praticare diversi sport, anche diversificando nel corso degli anni. Ed è così che i ragazzi finiscono per praticare lo sport del gruppo dei pari. Anche questa strada non è priva di rischi. Se da una parte infatti abbiamo visto dei genitori che si “accaniscono” su di una disciplina specifica, dall’altra si rischia di avere dei genitori che sottovalutano l’importanza della pratica sportiva in termini educativi, permettendo ai propri figli di saltare da uno sport all’altro senza di fatto chiedersi il perché ciò avvenga.
Ricordate che l’ambito dello sport è un osservatorio privilegiato all’interno del quale è possibile osservare lo stato di salute mentale dei nostri ragazzi. Spesso un continuo cambio di disciplina potrebbe nascondere delle insicurezze, o rispetto al gruppo dei pari o rispetto alla prestazione. Pertanto, chiudere la questione con un “non era abbastanza motivato” o “non gli piaceva abbastanza” non va sempre bene.
Se è vero che i ragazzi non devono essere costretti a praticare uno sport che non vogliono praticare, è altrettanto vero che nella richiesta di fare “un passo indietro” stiano di fatto cercando la rassicurazione del genitore. Pertanto, assecondare i propri figli senza indagare con l’allenatore le possibili cause di questo abbandono può essere un grande errore.
MA ALLORA QUESTA SCELTA GIUSTA!?
Come al solito la via di mezzo è la migliore. La scelta giusta è mettere al centro i nostri figli e non lo sport che praticano. È un compromesso difficile, richiede molta messa in discussione e soprattutto deve metterci nelle condizioni di ascoltare con attenzione tutto ciò che non viene detto. Tutto ciò che si muove tra le righe.
Piaciuto l’articolo? Fatecelo sapere nei commenti. Sei un adulto e hai trovato questo articolo di poco interesse rispetto alla scelta dello spot “giusto”? Non temere, arriviamo con la seconda parte e vedrai che non ti deluderà!!!